PARSIFAL

Celebre dramma mistico musicale di Richard Wagner

(analisi esoterica di Max Heindel)

 

Se osserviamo attentamente l’universo materiale vediamo un infinito numero di forme ciascuna dotata di un determinato colore. La maggior parte di esse emette anche un suono definito. In realtà, ogni forma emette un suono, e suono vi è pure nella natura cosiddetta inanimata. Il sibilo del vento che soffiando impetuoso scuote e piega gli alberi e il frusciare delle loro cime e delle foglie mosse dalla brezza, il mormorio del ruscello, il mugghio dell’oceano in burrasca e il ritmico sciabordio delle onde fra gli scogli, sono tutti definiti contributi all’armonia della natura.

Dei tre attributi della natura - forma, colore e suono - la forma è la più duratura perché tende a rimanere allo status-quo per un tempo considerevole e con mutamenti assai lenti; il colore si modifica più facilmente e perde di intensità, e alcuni colori mutano di aspetto a seconda dell’angolo che prospetta la luce; il suono è fra i tre il più fallace, perché va e viene con tanta rapidità che è impossibile captarlo e trattenerlo.

Analogamente abbiamo tre arti che esprimono il buono il vero e il bello con i tre attributi dell’anima del mondo: la scultura, la pittura, la musica.  

Nelle arti basate sulla forma e sul colore vi è dunque una creazione di carattere unico e duraturo e, sotto questo punto, sono somiglianti. Esse differiscono dalla terza arte, la musica, che non ha carattere tangibile né permanente, ma si disperde, per cui è necessario riprodurla ogni volta che desideriamo riudirla. Senza dubbio quest’arte ha il potere di parlare a tutti gli esseri umani in modo assai superiore alle altre due. La musica sa intensificare le nostre gioie e calmare i nostri dolori, sa plasmare gli istinti del selvaggio e spingere il codardo ad atti valorosi, ed è il fattore più potente per esercitare l’influenza sulle masse. Però, dal punto di vista strettamente materiale è superflua, come dimostrarono Darwin e Spencer.


Solo quando ci isoliamo dal mondo visibile ci rendiamo conto che l’uomo è un essere composto di tre entità: Spirito, Anima e corpo; allora siamo in grado di capire per quale ragione i prodotti delle tre arti ci influenzano in modo tanto diverso.

Mentre dal punto di vista esteriore l’uomo vive nel mondo delle forme, cioè ha una vita di forma tra le forme, contemporaneamente vive una vita interiore che per lui è di maggiore importanza e nella quale i sentimenti, i pensieri e le emozioni creano davanti alla sua visione interiore immagini e scene in continuo mutamento. Quanto più intensa si manifesterà questa vita interiore, tanto meno sarà necessario all’uomo cercare compagnia al di fuori di sé perché egli sarà di se stesso il migliore amico, e gli sarà facile rinunciare ad ogni distrazione che è sempre, invece, affannosamente cercata da coloro che hanno una vita interiore infeconda e, perciò, sono estranei a se stessi e hanno paura della propria compagnia. 

Se analizziamo questa vita interiore vedremo che ha due aspetti:

1)la vita dell’anima, la quale è composta di sentimenti ed emozioni;

2)  l’attività dell’Ego, il quale dirige tutte le azioni per mezzo del pensiero.

Come il mondo fisico è quello della forma ed è la fonte dalla quale viene preso il materiale per la costruzione del nostro corpo denso, così vi è un mondo dell’anima; chiamato dai Rosacroce il Mondo del Desiderio: da esso deriva il sottile rivestimento dell’Ego chiamato Anima ed è, particolarmente, il mondo del colore. Più sottile ancora è il mondo della musica, la quale ha il maggior potere sull’uomo. Mentre siamo in questa vita terrena, esiliati dal nostro focolare celeste che abbiamo dimenticato a causa degli affanni materiali, la musica ci giunge quale profumo saturo di ricordi inenarrabili e, come un’eco, ci porta il ricordo di quel paese dove tutto è pace e gioia. Per quanto si possano scetticamente allontanare simili concetti dalla nostra mente materiale, l’Ego riconosce in ogni nota come un messaggio del paese natale e lo colma di felicità.

Questa analisi sulla natura della musica è necessaria per poter apprezzare debitamente la grande opera “Parsifal” di Richard Wagner, in cui la musica e i caratteri dei personaggi sono intimamente legati come mai è avvenuto in altra composizione musicale moderna. Il dramma di Wagner si basa sulla leggenda di Parsifal, la cui origine è avvolta nel mistero all’ombra del quale si è sviluppata l’infanzia della razza umana.

È errato pensare che il mito sia un prodotto della fantasia umana e, quindi, sia privo di contenuto reale. Al contrario esso è uno scrigno che talvolta racchiude preziose perle di verità spirituali, di raro splendore. Wagner fece qualcosa di più che copiare la leggenda. Le leggende - come si sa - vengono tramandate e, perciò, si deformano e perdono molto della loro bellezza. Un’altra prova della grandezza di Wagner è nel fatto che la libera espressione del suo genio non fu mai repressa né limitata dalle norme e consuetudini del tempo: egli si servì sempre della prerogativa dell’arte di usare le allegorie liberamente, senza limitazioni.

Esaminando ora il dramma di Parsifal vediamo che la prima scena si svolge nei pressi del Castello di Monte Salvato. È un luogo di pace ove tutta la vita è sacra: fiere e uccelli sono docili e mansueti, perché - come ogni uomo realmente santo - i Cavalieri che lassù vivono sono inoffensivi e non uccidono né feriscono per alcuna ragione. Il loro motto è “vivere e lasciar vivere”, applicato indistintamente a tutte le creature.

Spunta l’alba e si vede il più anziano dei Cavalieri del Graal, Gurnemanz, seduto sotto un albero in compagnia di due giovani Cavalieri. Si sono appena destati dal sonno e da lontano Kundry  sta galoppando alla loro volta, montando un cavallo selvaggio.

Kundry è una creatura avente duplice esistenza: in una è attiva, solerte serva del Graal, sempre pronta a difendere gli interessi dei Cavalieri; nell’altra è, suo malgrado, la schiava del mago Klingsor e da lui forzata ad insidiare i Cavalieri del Graal che essa vorrebbe, invece, servire scrupolosamente. Il punto di transizione che conduce da un’esistenza all’altra è il sonno, e Kundry si vede obbligata a servire colui che la desta: quando Gurnemanz la sveglia, è la sincera serva del Graal, ma quando Klingsor la evoca con la sua magia nera ha il diritto di farsi servire da lei, sia che essa lo voglia o no.

Nel primo atto Kundry è vestita di una tunica di pelle di serpente, la quale, è simbolo della dottrina della rinascita: infatti, come il serpente si spoglia della propria pelle, strato per strato - quando è indurita e fuori uso - staccandola dal corpo, e una nuova ed efficiente la sostituisce, altrettanto l’Ego, nel suo pellegrinaggio evolutivo, emana da sé, ad ogni nascita, un corpo dopo l’altro e li abbandona, uno per uno, allorché alla morte entra nei Regni superfisici dove gli sono inservibili.

Quanto su esposto è in analogia con la Legge di Conseguenza, per la quale otteniamo ciò che abbiamo seminato, e trova conferma nella risposta di Gurnemanz al giovane Cavaliere che gli manifesta la propria diffidenza su Kundry: “Essa è, probabilmente, sotto l’influenza di una causa malefica mossa in una vita passata ed occulta alla nostra vista, e cerca ora di liberarsi dalle conseguenze del peccato per mezzo di opere buone. È sicuramente il bene che essa persegue e servendoci aiuta se stessa”.

Quando Kundry giunge sulla scena si toglie dal seno una fiala, portata - dice - dall’Arabia e contenente un balsamo per la ferita di Amfortas, re del Graal, ferita inguaribile e che lo fa soffrire terribilmente.

Passa, intanto, adagiato su una lettiga, il re ammalato: egli viene condotto a fare il quotidiano bagno nel vicino lago dove due cigni, nuotando, trasformano l’acqua in una lozione lenitiva. Amfortas ringrazia Kundry ed esprime la convinzione che non guarirà fino a quando non giungerà il salvatore preannunciato dal Graal: il “puro folle, illuminato dalla pietà”. Amfortas, però, è convinto che la morte giungerà prima della guarigione.

Il re viene fatto proseguire e quattro giovani Cavalieri circondano Gurnemanz, pregandolo di raccontare la storia del Graal e della ferita di Amfortas.

 

Sedutisi tutti sotto l’albero, Gurnemanz racconta che la notte in cui consumò l’ultima cena con i discepoli, nostro Signore e Salvatore, Gesù Cristo, bevve il vino in un calice nel quale fu poi raccolto il sangue sgorgato dalle Sue ferite allorché fu crocifisso. Questo calice e la lancia insanguinata che Gli trafisse il costato furono portati in salvo da Giuseppe di Arimatea attraverso numerose peripezie, persecuzioni e pericoli e la sua custodia fu, poi, assunta dagli Angeli fino a quando un messaggero mistico apparve a Titurel - padre di Amfortas - ingiungendogli di costruire un castello inviolabile per conservarvi le preziose reliquie. Sorse così, su un’alta montagna, il Castello di Monte Salvato ed ivi furono custoditi i due sacri oggetti sotto la sorveglianza di Titurel e di un gruppo di santi e casti cavalieri che egli aveva a tale scopo radunati. Il luogo divenne un centro da cui emanavano potenti influenze spirituali.

Gurnemanz prosegue dicendo che in una valle vicina viveva Klingsor, un Cavaliere nero, che, pur non essendo casto, desiderava diventare Cavaliere del Graal e per raggiungere lo scopo si inflisse una mutilazione. In tal modo si privò della possibilità di soddisfare le sue passioni che rimanevano, però, immutate in lui. Re Titurel sapeva che l’anima di Klingsor era satura di sinistre brame e negò l’ammissione al mago, il quale allora, non potendo realizzare il desiderio di servire il Graal, giurò di mutarlo in suo servitore. Costruì un castello circondato da un magico giardino, popolato di bellissime donzelle, odoranti come i più fragranti fiori: esse dovevano intralciare il cammino ai Cavalieri del Graal, che passavano di là per raggiungere Monte Salvato, con l’adescarli e sedurli e, in tal modo, distoglierli dai loro giuramenti e voti di castità. Fu così che solo pochi fedeli rimasero a difesa del Graal, la maggior parte essendo caduta prigioniera di Klingsor.

Titurel aveva, frattanto, ceduto la mansione di custode del Graal a suo figlio Amfortas, il quale decise di affrontare Klingsor in un combattimento per fare cessare il male da lui causato. Egli portò con sé la lancia sacra, ma Klingsor, prudente, non si presentò alla tenzone con Amfortas e si fece sostituire da Kundry che trasformò in donna di meravigliosa bellezza. Sotto l’incantesimo di Klingsor essa andò all’incontro e tentò Amfortas, che tosto si arrese e cadde tra le sue braccia lasciandosi sfuggire la sacra lancia.

Apparve allora il mago che impossessatosi dell’arma ferì Amfortas e lo avrebbe fatto prigioniero se non fosse stato eroicamente difeso da Gurnemanz. A Klingsor rimase, però, la lancia e al re, divenuto impotente, il dolore causato dalla ferita, la quale non si sarebbe più rimarginata.

Udito il racconto i giovani cavalieri sono presi dal violento desiderio di vendicarsi e giurano di battersi con Klingsor per vincerlo e ricuperare la lancia. Gurnemanz scuote tristemente la testa affermando che questo compito è superiore alla loro forza e rammenta, inoltre, la profezia per cui la redenzione sarà realizzata da un “folle puro, illuminato dalla pietà”.

Improvvisamente si ode gridare: “Il cigno, il cigno! “, e uno dei cigni del lago, volando, va a cadere morto ai piedi di Gurnemanz e dei cavalieri che, a tale vista, vengono presi da viva agitazione. Sopraggiungono altri cavalieri che accompagnano un alto e robusto giovane, armato di arco e munito di faretra con frecce. Alla domanda di Gurnemanz che gli chiede, rattristato, perché abbia ucciso quell’innocente bestiola, lo sconosciuto risponde: “È cosa riprovevole?” Il cavaliere gli narra, allora, la sofferenza del re e gli spiega il compito che il cigno assolveva nella preparazione del bagno curativo. A tale notizia il giovane rimane profondamente turbato e spezza l’arco che ha tra le mani.

In tutte le religioni lo spirito che s’innalza e si illumina è stato rappresentato simbolicamente da un uccello. Durante il battesimo di Gesù, mentre Egli era immerso nelle acque del Giordano, lo Spirito del Cristo discese su di Lui sotto forma di colomba.

Lo spirito si muove sopra l’acqua, sostanza fluidica, come nella mitologia nordica i cigni si muovono nel lago sotto l’Yggdrasil, l’albero della vita e nelle acque del lago nella leggenda del Graal. L’uccello è, conseguentemente, la chiara rappresentazione della più alta influenza spirituale e, pertanto, i cavalieri del Monte Salvato avevano ben ragione di dolersi della perdita del cigno. La verità, però, ha molti aspetti: vi sono almeno sette versioni di ogni mito, una per ogni mondo.

Esaminati dai punti di vista materiale e simbolico, il senso di pena nato nel giovane sconosciuto e l’atto di rompere l’arco segnano un passo definitivo verso la vita superiore. Nessuno può essere veramente compassionevole se uccide per procurare alimento sia a sé che agli altri:

L’INOFFENSIVITÀ È IL PRIMO REQUISITO INDISPENSABILE PER POTER AIUTARE IL PROSSIMO.

Gurnemanz chiede al giovane chi sia e come sia giunto a Monte Salvato, ma egli dimostra di ignorare tutto e ad ogni domanda risponde: “Non so”. Interviene, finalmente, Kundry, la quale dichiara di poterlo informare. “Il padre di costui - dice - era il nobile Gamuret, principe fra gli uomini, e che morì combattendo in Arabia quando egli non era ancora nato, e sua madre è Herzleide. Prima di partire il genitore gli diede nome Parsifal, il folle puro Nel timore che il giovane, facendosi adulto, apprendesse l’arte della guerra e venisse, perciò, strappato a lei, la madre lo portò a vivere in una foresta per tenerlo nella completa ignoranza delle armi.

A questo punto Parsifal la interruppe dicendo che un giorno vide degli uomini cavalcare dei veloci destrieri e, desiderando diventare come loro, li inseguì per molti giorni, fin ché giunse nel posto in cui si trova.

In questo racconto abbiamo un’efficace immagine dell’anima che sperimenta la realtà della vita. Gamuret e Parsifal rappresentano le diverse fasi della vita animica. Il primo è l’uomo del mondo che a un determinato momento si sposa con “Herzleide”, la quale in altri termini, è la sofferenza del cuore. Sul suo cammino incontra, dunque, il dolore e allora muore al mondo, come fanno tutti coloro che entrano nella vita superiore.

Quando la nave della vita naviga in tranquille acque e la nostra esistenza sembra essere una bella e soave melodia, non ci sentiamo spinti verso l’ascesa spirituale e ogni fibra del nostro essere grida: “Sono soddisfatto, non desidero più nulla”. Ma quando le ondate avverse si abbattono su di noi e sembrano travolgerci, allora sposiamo la sofferenza del cuore, convertendoci in uomini afflitti pronti a nascere come Parsifal, il folle puro o l’anima che ha dimenticato la sapienza del mondo e sta cercando di entrare nella vita superiore. Quando l’uomo cerca di accumulare denaro o di vivere gaudentemente non possiede che la sapienza delle cose terrene, e allorché intraprende il cammino verso quelle dello spirito al giudizio umano appare come un folle. Egli dimentica tutto ciò che appartenne alla passata vita e lascia dietro di sé le proprie pene, come Parsifal lasciò Herzleide, la quale morì quando il figlio non fece più ritorno a lei. Così la sofferenza muore quando ha dato i natali all’anima che anela alle cose del cielo e abbandona il mondo.

L’uomo può rimanere nel mondo per compiere l’azione che gli è imposta, ma non appartenergli, cioè essergli estraneo.

A poco a poco Gurnemanz si convince che Parsifal è effettivamente il salvatore di Amfortas e lo conduce con sé al Castello di Monte Salvato. Quando il giovane gli chiede cosa sia il Graal, risponde:

 

“Non posso dirlo,

“ma se vieni chiamato da esso,

“la verità ti sarà rivelata;

“il tuo volto non mi è sconosciuto,

“per giungere al Graal non si deve cercare

“nessun cammino terreno

“e ogni tentativo per raggiungerlo

“seguendo tale strada

“allontana sempre più dalla meta”.

 

Wagner ci fa qui risalire ai tempi precristiani. Prima della venuta di Cristo l’Iniziazione non era liberamente accessibile a chiunque volesse raggiungerla con un metodo appropriato, ma era riservata ad individui prescelti, come i Bramini e i Leviti, i quali per essersi votati al servizio del Tempio venivano ricompensati con speciali privilegi.

La venuta del Cristo operò certi definitivi cambiamenti nella costituzione umana per cui da allora tutti possono percorrere il sentiero della Iniziazione.

 

Nel Castello del Graal si insiste perché Amfortas celebri il rituale del servizio ed esponga il sacro calice, la cui presenza servirà a rianimare l’ardore dei Cavalieri, spingendoli a compiere atti di servizio spirituale. Amfortas è esitante, perché sa che la visione del calice intensifica le sue sofferenze: la ferita che ha al costato riprenderà a sanguinare come sanguina quella del rimorso allorché si pecca contro l’ideale.

Cede infine alle suppliche di suo padre e dei Cavalieri e, in preda al più tormentoso dolore, celebra il sacro rito. Appartato in un angolo, Parsifal senza rendersene ragione sente per simpatia la medesima sofferenza e quando, terminata la cerimonia, Gurnemanz ansiosamente gli chiede il motivo del suo turbamento, non sa cosa rispondere e rimane assorto e muto. Sdegnato, il Cavaliere lo scaccia allora dal Castello.

I sentimenti e le emozioni non frenati dalla conoscenza sono sempre potenti fonti di tentazione. L’anima che aspira al cielo è sovente, per l’innocenza e semplicità, facile preda del peccato. Per il progresso animico è necessario che le tentazioni si presentino onde scoprire i nostri punti vulnerabili. Se cediamo e cadiamo soffriremo come Amfortas: tuttavia il dolore è benefico perché sviluppa la coscienza, fa aborrire il peccato e rende forti contro le tentazioni. Il bambino è innocente perché non è stato ancora tentato, ma si è virtuosi solo dopo essere passati attraverso le tentazioni conservandosi puri, o dopo il pentimento e la redenzione conseguenti alla caduta; per tale ragione Parsifal deve essere tentato.

Nel secondo atto vediamo Klingsor destare Kundry; egli ha scorto Parsifal venire verso il Castello e lo teme più di ogni altro, perché è un semplice. Un uomo di sapienza mondana è facile preda degli inganni delle donzelle-fiori del giardino del mago, ma la semplicità protegge Parsifal e, infatti, quando gli apparenti fiori umani lo circondano egli chiede ingenuamente: “Siete dei fiori che esalate un profumo tanto soave?”

Per vincere la passività del giovane è necessario che Kundry faccia uso di sottile astuzia ed essa - quantunque si opponga con proteste e suppliche - viene costretta a tentare Parsifal. Gli appare allora come donna di sovrumana bellezza e lo chiama. Nell’udire il proprio nome si ridestano nel cuore di Parsifal i ricordi d’infanzia e l’affetto di sua madre. Kundry lo invita a sedere vicino a sé e, facendo dolcemente leva sui sentimenti, gli richiama alla memoria visioni dell’affetto materno e il dolore che la genitrice provò quando egli partì, che la condusse a morte. Gli parla poi dell’altro affetto che potrebbe essergli di compenso, dell’amore che l’uomo sente per la donna, e gli dà infine un lungo appassionato bacio.

Segue un profondo silenzio come se quel bacio avesse mutato il destino del mondo intero: Kundry trattiene Parsifal fra le sue braccia mentre il viso di lui si contrae in un’espressione di dolore, poi il giovane si divincola e con un balzo si alza, quasi fosse invaso da un’insopportabile sofferenza: i lineamenti del suo pallido viso sono contratti dallo spasimo, e con una mano si comprime il cuore come per soffocare un orrendo tormento. Gli appaiono in una visione il calice del Graal e Amfortas con la sua terribile sofferenza. Invoca il re ed esclama:

 

“Ora lo so, la tua ferita al costato

“è uguale a quella che mi strazia il cuore

“ed avvilisce l’anima mia.

“Quale spaventosa angoscia......

“che pena..... che miseria.....

“la ferita al mio costato sanguina!”

 

Prosegue con il medesimo orrore:

 

“Ma non è solo ciò..

“non è la lancia conficcata nel mio costato,

“ ma un fuoco in cuore che mi perturba i sensi

“e mi fa pazzamente delirare d’amore impuro...

“ora so perché le passioni dei sensi

“sconvolgono tanto il mondo

“e lo fanno precipitare nella vergogna.”

 

Kundry lo tenta ancora:

 

“Se un solo bacio ti ha dato tanta conoscenza,

“quanto più ne otterresti

“se ti abbandonassi al mio amore

“anche solo per un’ora...”.

        

Parsifal non ha più dubbi: ha aperto gli occhi alla realtà e sa, finalmente, distinguere il bene dal male. Risponde:

 

“Se io mi abbandonassi fra le tue braccia,

“anche per un’ora sola,

“l’eternità sarebbe per noi perduta.

“Non lo farò, ma cercherò, invece,

“di salvarti e di liberarti dalla passione,

“perché l’amore che arde in te

“è sensuale e fra esso e il vero dei cuori puri

“c’è un abisso grande come quello che esiste

“fra il paradiso e l’inferno.”

        

In collera, perché sconfitta, Kundry invoca l’aiuto di Klingsor che subito appare e scaglia la sacra lancia contro Parsifal, il quale, essendo puro e innocente, non può essere colpito: infatti, l’arma gli sfiora la testa, ma non lo ferisce. Parsifal raccoglie allora la lancia e traccia con essa il segno della croce: immediatamente il castello di Klingsor col giardino magico scompare.

 

Il terzo atto ci porta a molti anni dopo. È la ricorrenza del venerdì santo ed un guerriero - vestito di una cotta di maglia nera e che sembra giungere da un lungo viaggio - entra nelle terre di Monte Salvato dove, in una capanna, vive Gurnemanz; si toglie dal capo il casco d’acciaio, appoggia la lancia contro una roccia e si inginocchia per pregare. Gurnemanz, che sopraggiunge con Kundry, riconosce in lui Parsifal che porta la sacra lancia e con gioia gli dà il ben venuto, chiedendogli da dove venga. Già nella prima visita Gurnemanz aveva rivolto a Parsifal la medesima domanda e il giovane allora aveva risposto: “Non lo so”; questa volta, invece, dice: “Vengo dopo aver cercato e sofferto”.

Nel primo atto si rappresenta l’anima che comincia a percepire le realtà della vita superiore; nel secondo è evidente il raggiungimento consapevole di un livello superiore di attività spirituale da parte di coloro che hanno sviluppato la coscienza attraverso le lotte e le sofferenze.

Parsifal narra di essere stato sovente assalito da nemici sui quali avrebbe potuto riportare facilmente vittoria facendo uso della lancia, ma che se ne astenne sempre, perché tale strumento deve essere usato per guarire e non per ferire:la lancia simboleggia, appunto, il potere spirituale che viene dato al cuore puro e deve essere adoperato per fini altruistici. Il cattivo uso, le colpe e le passioni causano la perdita di detto potere, come avvenne nel caso di Amfortas. Ma anche se l’uomo è in possesso del potere spirituale e possa, se necessario, procurare da mangiare a cinquemila persone, non gli è permesso trasformare neppure una pietra in pane per calmare la propria fame, e quantunque possa fermare il sangue che sgorga dall’orecchio mozzato del centurione, non gli è lecito rimarginare le proprie ferite. Fu sempre detto del Cristo: “Egli salvò gli altri, ma non poté (o non volle) salvare se stesso”.

Parsifal e Gurnemanz entrano nel castello del Graal e il re è sollecitato dai Cavalieri a celebrare il sacro rito. Egli rifiuta per evitare l’atroce sofferenza che gli causa la vista del santo calice, e scoprendosi il petto supplica i suoi correligionari di ucciderlo. Parsifal gli si avvicina e con la lancia gli tocca la ferita guarendolo istantaneamente, poi si sostituisce a lui nella custodia delle sacre reliquie.

Solo chi dimostra il più assoluto disinteresse, e nel contempo è dotato del maggiore discernimento è idoneo a possedere il potere spirituale. Amfortas voleva usarlo per combattere e ferire un suo nemico. Parsifal, invece, si era astenuto dal servirsene per difesa personale anche nei maggiori pericoli: per questa ragione egli può curare mentre l’altro cade nel tranello tesogli da Klingsor.

Nell’ultimo atto Kundry, che rappresenta la natura inferiore, pronuncia la parola “SERVIZIO” e realizzandolo in modo assoluto e perfetto, aiuta Parsifal - lo Spirito - a raggiungere l’ideale.

Nel primo atto, allorché Parsifal visitò il Graal, Kundry era addormentata e, infatti, al punto di sviluppo evolutivo in cui essa si trovava lo spirito può risalire al cielo solo quando il corpo è addormentato o morto. Ma nell’ultimo atto anche Kundry - il corpo - può recarsi al Castello del Graal, perché si è consacrata al servizio dell’Io Superiore e quando Parsifal - lo Spirito - con il trionfo ha raggiunto la meta, essa ha conseguito lo stato di liberazione citato nell’Apocalisse: “Colui che vincerà lo convertirò in una colonna del tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più”

Un essere tanto perfetto lavorerà per l’umanità nei piani superiori: egli non ha più bisogno di un corpo fisico, perché è al disopra della Legge di Rinascita. Per tale ragione Kundry allora muore.

 

Nel suo poema “Il Nautilus imprigionato”, Oliver Wendell esprime in versi questo concetto di costante progresso in veicoli gradatamente sempre più perfetti. Il nautilus costruisce la spirale della sua conchiglia in sezioni distinte, abbandonando man mano le più piccole per occupare l’ultima costruita:

 

         “Anno dopo anno contemplò il silente lavoro

         “che produceva la sua lucida spira.

         “Tuttavia, mentre la spirale progrediva,

         “lasciò la dimora dello scorso anno, per la nuova.

         “Penetrò con passo leggero nella lucida arcata,

         “ne costruì la pigra porta,

         “si adagiò nella nuova dimora, dimenticando la vecchia.

         “Grazie per il celeste messaggio da te recato,

         “figlio dell’irrequieto mare

         “rigettato dal suo desolato grembo!

         “Dalle tue labbra morte echeggia una nota più chiara

         “di quella che Tritone mai soffiò dal suo corpo inghirlandato.

         “Mentre essa risuona nel mio orecchio,

         “attraverso le profonde caverne del pensiero odo una voce che canta:

         “Costruisciti più maestose dimore, o anima mia!

         “mentre le brevi stagioni trapassano,

         “abbandona il tuo passato angusto!

         “Lascia che ogni nuovo tempio, più nobile dell’ultimo,

         “ti abbracci dal cielo con una volta più vasta

         “fino a che tu sia finalmente libera

         “abbandonando la conchiglia, ormai troppo piccola,

         “lungo l’irrequieto mare della vita!”

 

 

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