Il Racconto di Natale
Vigilia di Natale nella Foresta
di Dagmar Frahme (The Rosicrucian Fellowship)
In una fitta foresta, tanto tempo fa, viveva una bambina chiamata Simonetta. Lei era bellissima, e molto gentile, e molto buona. Qualcuno che la conosceva diceva che doveva essere una principessa, perché era così bella come lo sono tutte le principesse, e faceva le cose così bene come tutte le principesse dovrebbero fare.
Ma Simonetta non era la figlia di un re. Era la figlia di un potente cacciatore conosciuto ovunque per la sua abilità. Ogni mattina il potente cacciatore metteva la faretra a tracolla, prendeva il suo arco, dava un bacio di saluto a Simonetta, e si inoltrava nel fondo della foresta. Ogni giorno egli era il terrore delle creature selvagge, e ogni sera tornava a casa carico di ciò che aveva ucciso.
Ora, nonostante Simonetta amasse teneramente suo padre, ogni giorno temeva il suo ritorno. Egli portava sempre a casa il corpo di un altro capriolo o di un coniglio, di una volpe o di uno scoiattolo, che erano stati prima suoi amici. Per Simonetta tutti gli animali erano suoi amici. Quanto timore avevano le creature della foresta per suo padre, altrettanto amore avevano per lei.
Ogni mattina dopo che il potente cacciatore si era avviato dalla sua casetta, gli animali sgusciavano fuori da dietro i cespugli dove aspettavano per andare a visitare Simonetta. Per tutto il giorno lei curava quelli che erano ammalati, consolava quelli che erano tristi, e giocava con quelli che erano allegri.
Poi, appena il crepuscolo della foresta scendeva su di loro, Simonetta diceva: "Ora dovete andare via velocemente, perché mio papà sarà presto a casa. Nascondetevi nella foresta fino a mattina, e poi tornate qui da me". E gli animali partivano e nessun occhio mortale li avrebbe potuti vedere fino al giorno successivo.
Così il tempo passava. Il potente cacciatore cacciava, e le creature della foresta lo temevano come il peggior nemico. Simonetta le amava, e le creature della foresta la adoravano.
Un anno l'inverno arrivò presto, e appena le foglie dai colori brillanti dell'autunno ebbero coperto il terreno, furono a loro volta ricoperte dalla neve appena caduta. Il freddo pungente aumentò, e la sera perfino il potente cacciatore era contento di tornare al caldo del suo focolare.
Anche le creature della foresta avevano freddo, ed ogni mattina Simonetta le accoglieva nella casetta dove potevano riscaldarsi. Appena imbruniva, cosa che succedeva presto in quei giorni freddi, il suo cuore soffriva quando li mandava fuori nell'aria gelida. Ma non osava farli rimanere di più accanto al focolare, perché tanta sarebbe stata la collera del potente cacciatore se al ritorno li avesse trovati lì.
Poi, una mattina, mentre il potente cacciatore raccoglieva le sue armi, Simonetta disse: "Papà, oggi è la Vigilia di Natale. Ti prego, non cacciare oggi. Resta a casa per aiutarmi a decorare il nostro albero".
"No, piccola, non posso restare a casa", rispose il potente cacciatore, "Devo avere più pelli da vendere e più carne da affumicare e immagazzinare. Puoi decorare l'albero da sola. Lo hai sempre fatto bene".
Il potente cacciatore si mise la faretra sulle spalle, prese il suo arco, e si mosse verso la porta.
"Papà, papà, "pianse Simonetta, attaccandosi alle sue maniche, "ti prego, non uccidere oggi. Non alla vigilia della nascita di Gesù".
"Che cosa insensata è questa, piccola?", domando impaziente il potente cacciatore, ritraendosi dalla sua presa. "Abbiamo bisogno di pelli da vendere e di carne da mangiare, che sia o no la vigilia della nascita di Gesù. Ora, non essere così triste. Oggi caccerò un cervo, e avremo della cacciagione fresca per la festa di Natale".
Il potente cacciatore salutò Simonetta con un bacio e si avviò fuori dalla porta. Simonetta lo guardò, con le lacrime che scorrevano sulle sue guance. "Quando tornerai, papà, io me ne sarò andata", sospirò. Ma il potente cacciatore non la sentì.
Gli animali quindi vennero per riscaldarsi al focolare, come facevano ogni fredda mattina. Simonetta si prese cura di quelli che erano ammalati, cercò di consolare quelli che erano tristi, ma non si unì ai giochi di quelli che erano allegri. Aveva molto lavoro da fare prima del ritorno del padre, disse loro, ma gli animali avrebbero detto che era molto preoccupata.
Per tutta la mattina lei pulì e scopò e rammendò e cucinò, mentre sospirava profondamente e si asciugava gli occhi con gli angoli del grembiule. Gli animali guardavano e si meravigliavano, ma non riuscivano a fare niente per rallegrarla.
Il pomeriggio, Simonetta decorò l'albero con gli ornamenti che aveva sempre usato da quando era molto piccola, prima che la madre fosse salita in Cielo. Appese stringhe di frutti di bosco luminosi e attaccò con cura una candela sulla punta di ogni ramo. Ma anche eseguendo questo compito fra i più gioiosi, Simonetta non sorrise né cantò. Continuò a sospirare profondamente e ad asciugarsi gli occhi con gli angoli del grembiule. Quindi prese un pezzo di corteccia tenuto per quello scopo, e con un bastoncino immerso nel succo di more scrisse:
"Al mio caro papà, che io amo molto. Sono andata via con gli animali. Non posso più rimanere qui, dove ogni giorno devo vedere corpi morti di creature che erano state prima mie amiche. Ti prego di non cercarmi, perché vivere nella casa di un cacciatore è troppo duro da sopportare per me. Forse la mamma verrà giù dal Cielo a prendermi. Ho cucinato un dolce di Natale che è nel forno e ho rammendato la camicia che avevi strappata, e ho scopato e pulito la casa meglio che ho potuto. Un giorno anche tu verrai in Cielo, e allora potremo essere di nuovo tutti insieme. Tua figlia che ti vuole bene, Simonetta".
Pose il pezzo di corteccia sulla tavola, si avvolse con la sciarpa più calda che aveva, e disse agli animali: "Su, andiamo. Mio padre sarà presto a casa, e io devo essere lontana per allora".
"Simonetta, no!" esclamò la volpe, che si rese infine conto di quello che stava facendo. "È un freddo pungente fuori, e gelerai. Tu non sei rivestita di calore come noi. Non devi lasciare il tuo focolare".
"Veramente, cara Volpe, io devo lasciare il mio focolare", rispose Simonetta, "perché non posso più vivere nella casa di un cacciatore".
"Non c'è cibo per te nella foresta d'inverno", disse lo scoiattolo. "Se io non avessi messo via delle noci, non avrei niente da mangiare".
"Molto bene, caro Scoiattolo", rispose Simonetta, "Porterò del cibo con me. Ci sono ancora delle mele qui, e alcuni semi di girasole. Ma non avrò bisogno di molto cibo, perché spero che la mamma verrà dal Cielo e mi porterà via".
Anche gli altri animali tentarono di persuadere Simonetta a non lasciare la calda casetta, ma lei non ascoltava. Prese qualche mela e qualche seme in un sacchettino, e andò alla porta.
"Adesso venite", disse. "Si sta facendo tardi, e dobbiamo correre". Simonetta si affrettò ad uscire verso la foresta, e gli animali riluttanti la seguirono.
Il capriolo, l'ultimo ad uscire, pensò dapprima di lasciare la porta aperta così che il vento avesse potuto entrare e spegnere il fuoco, rendendo fredda la casetta per il ritorno del potente cacciatore. Ma poi pensò: "No, lo lascerò riscaldarsi, perché il suo ritorno sarà già abbastanza amaro questa Vigilia di Natale". Così, il capriolo richiuse la porta e proseguì, saltando sopra gli altri animali nell'urgenza di raggiungere Simonetta.
Era davvero un freddo pungente. Simonetta rabbrividì e si strinse di più la sciarpa attorno alle spalle. Ma era come aveva detto la volpe: il calore della sua sciarpa di lana non poteva confrontarsi con il calore delle loro pellicce.
"Presto, presto", chiamò Simonetta, "Siamo ancora troppo vicini alla casetta di mio padre. Dobbiamo inoltrarci di più nella foresta". E così proseguirono, sempre più lontani, mentre il buio della notte cresceva attorno a loro e persino l'aria tremava dal freddo. Poi, finalmente, arrivarono in un luogo che solo il cervo e la volpe conoscevano. Nemmeno Simonetta ne sapeva qualcosa, perché si trovava nella parte più fitta della foresta, nascosta dalla maggior parte del mondo.
Era, in estate, un boschetto erboso, all'ombra di alberi giganti e circondato da felci. In tempi molto lontani, enormi rocce vi erano state poste a cerchio, all'interno del quale c'era ora una scanalatura. Se fosse stato fatto da una razza di giganti o da Dio stesso, nessuno fra chi vive ora sulla Terra lo può dire. Qui, dunque, protetti dal vento dai massi a cerchio, Simonetta e gli animali trovarono rifugio.
"Aspetterò qui che la mamma venga dal Cielo", disse Simonetta. "Mio padre qui non mi troverà, perché se conoscesse questo posto, sicuramente me ne avrebbe parlato". Sorrise agli animali che la osservavano con ansia. "Grazie per essere venuti con me così lontani, " disse. "Avrei avuto paura nel buio della foresta se non foste stati con me, ma non ho paura qui. È un bel posto".
Guardò in alto attraverso i rami spogli verso dove, alta sulle loro teste, una brillante stella gettava la sua luce giù fino a loro. "Credo che sia un luogo sacro", sussurrò. "Sarò al sicuro qui. Andate alle vostre case ora, perché dovete essere molto stanchi. E ricordate che vi voglio bene".
"No, Simonetta", disse il procione, "non ti lasceremo. Fintantoché resterai nella foresta, saremo i tuoi compagni. Vigileremo con te per l'arrivo di tua madre". E nonostante tentasse di tutto, Simonetta non riuscì a persuaderli.
Quindi, alla fine, disse: "Miei amici animali, grazie per restare con me. Forse è bene che restiamo insieme, perché questa è la Vigilia di Natale, la notte in cui un amore abbastanza per tutto l'anno fluisce sulla Terra dal nostro Padre Celeste".
Poi, mentre il procione attorcigliava la sua coda attorno ai suoi piedi per riscaldarli, il coniglio e lo scoiattolo si rannicchiarono sui suoi due fianchi, e due tamia cercavano rifugio nella tasca della sua gonna, lei si appoggiò sulla schiena del lupo, riscaldando le sue fredde orecchie nella sua pelliccia, e raccontandogli la storia di Natale.
La raccontò bene, perché da tanto l'aveva conservata nella memoria, e perfino il cervo e la volpe, che l'avevano già sentita, si meravigliarono del sublime dono della Vita e dell'Amore che il Signore aveva dato alla Sua Terra.
"È questa la notte nella quale il Cristo torna sulla Terra?", chiese un tamia che, dimentico di quanto fosse freddo, sgusciò fuor dalla tasca per sentire meglio.
"È questa la notte", disse Simonetta, sorridendogli. "In questo preciso momento la Sua luce sta brillando tutto intorno a noi, e la fredda Terra sta per essere riscaldata dal Suo Amore".
"Non dovremmo ringraziarlo?" sussurrò il coniglio, che non parlava mai molto essendo troppo timido, ma che qualche volta aveva delle buonissime idee.
"Dovremmo davvero", concordò Simonetta, "e un modo per farlo è di cantare le canzoni di Natale. Ne conoscete qualcuna?".
La volpe ne conosceva, perché le capitava di vagare nei margini del villaggio e una volta ne aveva sentito una serie. Agli altri animali, però, i canti di Natale erano qualcosa di strano di cui non sapevano nulla. Così Simonetta cantò per loro e, un po' per volta, essi accolsero l'idea e si unirono a lei. Ben presto, tutti gli animali avevano alzato le loro voci nel canto.
Ora, se voi foste stati lì, e se aveste sentito con le vostre orecchie terrene, avreste udito il lupo ululare, il coyote abbaiare alla Luna, lo scoiattolo squittire, e un miscuglio di altri rumori che non somigliavano per niente ai canti di Natale. Ma se aveste ascoltato con le orecchie del Cielo, avreste udito la musica più dolce, perché proveniva dal cuore di coloro che erano davvero grati. "Venite, adoriamo, venite, adoriamo, venite adoriamo, il Signore Gesù".
Nel frattempo, il potente cacciatore era ritornato alla sua casetta, il corpo di un grande cervo caricato sulle spalle. "Simonetta", chiamò, "vieni a vedere che cosa ho portato per la nostra festa di Natale".
Appoggiò per terra il cervo fuori dalla porta, e aspettò che lei venisse a salutarlo, come faceva sempre. Ma la porta non si apriva, e un inspiegabile timore freddo cominciò a gelargli il cuore. Spinse la porta e si precipitò in casa. Il fuoco ruggiva allegro nel focolare, il dolce aroma speziato del dolce di Natale veniva dal forno, il pavimento brillava alla luce delle fiamme e la tavola linda catturava i riflessi di una solitaria candela. In un angolo stava l'abbagliante albero di Natale e ordinatamente ripiegata sul bracciolo della sua sedia era la camicia che aveva chiesto a Simonetta di rammendare. Ma Simonetta stessa non si vedeva in alcun luogo.
Poi il potente cacciatore vide la nota sulla tavola. Con il cuore che batteva forte e le mani tremanti la strappò. Lesse una volta e non credeva a quelle parole. Le lesse una seconda volta, e un gemito tremendo come il grido di un animale ferito uscì dalla profondità di se stesso.
Vacillò sulla seda e seppellì il volto nelle mani. Neppure allora immagini della sua piccola Simonetta passavano davanti ai suoi occhi; vide invece la forma di un cervo ferito correre attraverso la foresta, solo per crollare agonizzante. Vide la forma di centinaia di creature selvagge che se ne andavano per conto loro cadere improvvisamente per una freccia perfettamente indirizzata.
Quanto tempo rimase così, solo Colui che conosce le agonie di tutti gli uomini e, con infinita compassione, le sente nel Suo stesso cuore, lo può dire. Ma quando, con le lacrime agli occhi, il potente cacciatore tornò al presente, il fuoco nel cuore non era che una brace incandescente e un gelo simile alla morte era in quella stanza.
Ancora una volta gemette. Quindi, sprofondando in ginocchio, strinse le mani e sussurrò: "So che ho causato grande dolore. So che è sbagliato togliere la vita a giovani creature. Sono pronto a fare espiazione, comunque Tu decida. Ma non lasciare che la mia piccola soffra per questo, ti prego. Risparmiala. Aiutami a trovarla".
Rimase ancora un po' così in ginocchio e poi, quasi impercettibilmente, calore e forza ritornarono nelle sue braccia. Aveva attraversato l'Ombra, e ne era emerso purificato. Ora c'era del lavoro da fare.
Il potente cacciatore balzò in piedi. Afferrato un ramo robusto da una catasta di legna, lo tenne sul fuoco fino a che non ne ricavò una scintilla. Con cura protesse la piccola fiamma finché diventò una brillante torcia incandescente. Poi corse fuori nella notte.
Con la luce della torcia, il potente cacciatore a malapena poteva distinguere le tracce fatte dagli animali che si erano allontanati. Qui e là, quasi cancellate dalle altre, c'era una impronta di Simonetta e, vedendole, prese coraggio. "Tienila al caldo", diceva guardando sopra di sé ad una stella quasi direttamente sulla sua testa. "Tienila al sicuro. Guidami da lei, ti prego".
Con la torcia, le tracce erano facili da seguire, e il potente cacciatore velocemente procedeva, profondo nella foresta più di quanto non si fosse mai avventurato. Improvvisamente vide un bagliore fra degli alberi in lontananza sorgere dietro un muro di roccia e riempire tutto lo spazio libero in quel luogo.
"Un fuoco", il potente cacciatore pensò. "Lei ha acceso un fuoco. È al caldo. Grazie a Dio".
Ma più si avvicinava, più era sicuro che non era il bagliore di un fuoco. La luce era troppo stabile, troppo bianca, troppo pura. Poi udì dei suoni. Un lupo ululava, un coyote abbaiava alla Luna.
"Gli animali", pensò, "se l'hanno ferita….".
Ma poi il potente cacciatore ascoltò ancora, e udì non ululare e abbaiare, ma una musica più dolce di quanto avesse mai potuto immaginare. Le parole erano semplici: "Venite adoriamo, venite adoriamo, venite adoriamo, il Signore Gesù".
Il potente cacciatore posò la torcia su un cumulo di neve, dove stava verticalmente. Con cautela si mosse vero il bagliore. Seguì in cerchio il muro roccioso finché trovò un'apertura, e fu stordito dalla vista che gli si presentò.
Simonetta era poggiata fiduciosamente contro un lupo, i cui occhi erano vigili e protettivi. Tutti i generi di creature della foresta, grandi e piccole, erano raggruppate attorno a lei. Cantavano.
Poi il potente cacciatore vide qualcos'altro. Una figura - umana, eppure senza vestigia di mortalità - librava su Simonetta, inviando giù su di lei e sugli animali onde su onde di pura, bianca luce. Quando il potente cacciatore fissò meravigliato la figura, lei -perché era femminile - si girò verso di lui, ed egli rimase a bocca aperta. Era colei che una volta aveva amato, e la cui una volta tenera, familiare presenza non era adesso che un commovente ricordo che solo raramente lo raggiungeva.
La figura stava accanto a lui, carezzandogli delicatamente il viso con le sue dita. Egli non sentiva alcun tocco, ma era come se una calda brezza primaverile giocasse attraverso le sue guance. Lei gli sorrise affettuosamente.
"Mia cara", sussurrò, "sei tu?".
"Sì", disse la figura. "Mi è stato dato il permesso di venire da te stanotte, perché sapevo che sarei stata d'aiuto".
"Hai guidato tu Simonetta in questo luogo, e messa al sicuro?", chiese il potente cacciatore.
La figura annuì.
"Lei ti ha visto?", continuò.
"No", disse la figura. "È meglio che lei non mi veda, perché la mia partenza può essere poi troppo dolorosa. Ma sa che sono qui, ed è contenta".
"Allora - poi devi partire ancora", disse tristemente il potente cacciatore.
"Devo", rispose la figura, il più gentilmente possibile. "Mi è stato fatto un grande dono, e io non oso abusarne. Ma dopo stanotte, neppure tu avrai più tanto bisogno di me, perché hai imparato una terribile lezione, e adesso sarai cambiato".
Il potente cacciatore sospirò profondamente. "Hai a che fare in qualche modo in tutto questo?", chiese.
"Ho chiesto che vedessi le immagini degli animali uccisi", rispose la figura, "perché quando la mazzata della nota di Simonetta ti ha così profondamente colpito, seppi che eri pronto perché i tuoi occhi fossero aperti".
Per un lungo momento, il potente cacciatore osservò la figura, che tornava ad esaminarlo con i suoi occhi teneri e amorevoli. Poi lei disse dolcemente: "Adesso, amato, io devo andare. Porta Simonetta a casa. Verrà volontariamente. E ricorda le sue parole: Un giorno anche tu verrai in Cielo, e potremo essere ancora tutti insieme".
Con ciò, la figura lo accarezzò ancora una volta, e lentamente ascese verso la stella brillante alta sulla sua testa. Per molto tempo dopo che non fu più visibile, il puro, bianco bagliore rimase in quel luogo.
Quindi il potente cacciatore si avvicinò. "Simonetta", disse dolcemente.
"Oh, papà!" gridò lei, saltando su e correndo fra le sue braccia. "La mamma era qui. Potevo sentirla. Ci ha riscaldati tutti".
"Lo so, piccola", disse il potente cacciatore. "L'ho vista".
"L'hai vista?", Simonetta spalancò gli occhi. "Era bella come sempre?".
"Più ancora", rispose lui semplicemente, il suo cuore essendo troppo pieno per poter parlare oltre.
"Sono contenta", disse lei, abbracciandolo.
"Ed ora, piccola, vuoi venire a casa con me? È molto tardi, e fuori da questo luogo è molto freddo".
"Verrò a casa", disse Simonetta, mettendo le proprie mani nelle sue.
"E i tuoi amici", disse lui, guardando gli animali, "sono benvenuti anche loro. So che non hanno nessuna ragione per fidarsi di me, ma prometto che da questa notte in avanti, fintantoché vivrò in questa foresta, nessun male che posso evitare verrà fatto a loro".
Con questo il lupo, che aveva osservato il tutto con cautela, si rilassò. Lentamente camminò verso l'ex potente cacciatore e si strofinò sulla sua mano vuota. Quando l'uomo accarezzò la testa del lupo, si fecero avanti anche tutti gli altri animali. Si radunarono attorno a Simonetta e a suo padre e li accompagnarono per il lungo percorso attraverso la foresta.
Quando, alla fine, furono quasi a casa, l'ex potente cacciatore si ricordò del corpo del cervo che aveva lasciato davanti alla casetta. "Darei qualsiasi cosa", pensò, "perché Simonetta non lo vedesse".
Avvilito si avvicinò, e Simonetta, sentendo della preoccupazione del suo cuore, lo guardava con apprensione.
Ma una volta giunti presso la casetta, il corpo del cervo se n'era andato. Non c'era una goccia di sangue sulla neve, e nessuna impronta sul luogo dove giaceva disteso.
Mentre l'ex potente cacciatore rifletteva incredulo, inaspettatamente Simonetta lasciò la sua mano e si mise a correre in avanti.
"Ramo, Ramo", chiamò, "sono così contenta di vederti!".
Sotto lo sguardo meravigliato di suo padre, Simonetta protese le sue braccia attorno al collo di un magnifico cervo che era apparso all'improvviso davanti a loro. Era lo stesso animale che era stato ucciso per la festa di Natale.
Il cervo tollerò gli esuberanti abbracci di Simonetta per un po', poi si scostò gentilmente dalla sua presa. Avanzò fino all'ex potente cacciatore e lo guardò appositamente.
"Non posso credere che tu sia vivo", disse umilmente l'uomo, "ma ringrazio Dio per questo".
"Sì", disse il cervo. "Tutti noi dobbiamo ringraziare Dio. Egli ha intenerito il tuo cuore, e mi ha restituito quella vita che mi era stata tolta. Possa la Sua benedizione restare con tutti voi".
E il cervo, con un potente salto, sparì nell'oscurità.
Poi Simonetta e suo padre e la loro compagnia di animali entrarono nella casetta dove, miracolosamente, il fuoco nel focolare stava ancora ardendo brillantemente e un confortevole calore riempiva la stanza. E in quella notte, e per molte notti in avanti, mentre Simonetta e l'ex potente cacciatore dormivano nei loro caldi letti, gli animali dormirono, sicuri e indisturbati, davanti al calduccio del focolare.